Riqualificazione convento a Sora
L’intervento di riqualificazione attuato da Renato Morganti per l’antico orto del convento dei Minori conventuali a Sora.
Centro urbano dell’Appennino laziale – rappresenta non solo un convincente tentative di restituire dignita, funzionalità e misura a un luogo fortemente compromesso dalle trasformazioni che lo hanno visto coinvolto a partire dagli anni Sessanta, ma anche l’espressione di un interessante approccio progettuale in cui l’involucro, inteso come elemento di confine, e l’architettura, intesa come spazio costruito, tendono a coincidere.
L’area di intervento – occupata in precedenza da un edificio sovradimensionato e di modesto valore, adibito a cinema e teatro è infatti situata a ridosso del colle di San Casto e Cassio, in un punto in cui la morfologia del suolo cambia radicalmente il suo assetto e in cui il tessuto storico trova il suo limite naturale. Il concetto di confine, insito nella natura del luogo, viene sviluppato dal progetto come elemento architettonico in cui il muro, posto a delimitazione del sito, diviene volume, definendo attraverso il suo involucro una sorta di elemento funzionalizzato.
Questa architettura di confine, che ha l’aspetto di una cinta impenetrabile, posta in contiguità con i vicoli, le rampe e le scale che consentono il collegamento dello spazio pubblico con i preesistenti percorsi diretti al colle, trae riferimento dai muri storici a secco in pietra costruiti nell’area a delimitare i terrazzamenti nella direzione del declivio.
Elementi, per la maggior parte, distrutti dall’ampliamento del taglio del colle, negli anni Trenta in attuazione del piano regolatore generale redatto dopo il devastante terremoto del 1915.
Il muro e riproposto in chiave contemporanea come elemento che non solo delimita, ma indirizza, guidando il fruitore dello spazio pubblico attraverso percorsi e funzioni. Possenti setti in calcestruzzo, rivestiti a quiconci in pietra locale privi di malta sui giunti sia verticali che orizzontali, compongono in un lungo sistema murario ad andamento spezzato, sui quale si integrano percorsi e addizioni senza tuttavia pregiudicare la percezione di intervento unitario e coerente.
Il diverso orientamento dei setti conferisce al muro quella tridimensionalità che permette di tradurre la sua configurazione in volumetria, in cui sono ospitati alcuni servizi e uno spazio polifunzionale dalla chiara vocazione assembleare.
Nel complesso, il progetto dilata la sezione del muro sino a trasformarla in uno spazio abitabile sospeso tra la condizione di essere in parte edificio e in parte elemento di definizione dello spazio urbano. Questa idea si rafforza tanto più quanto maggiore e la prossimità con il versante roccioso del colle, che diviene così una componente fondamentale del progetto.
Dall’interno, infatti, uno spazio inedito si svela al fruitore: un ambiente interstiziale tra il colle e il muro. Ciò che in precedenza era il retro di un edificio si trasforma in un luogo compiuto, che diventa estensione dello spazio interno e strumento di relazione tra l’artificio messo in atto dal progetto e l’elemento naturale.
La percezione della superficie rocciosa irregolare, che contrasta con il nitore del muro rivestito in pietra, e resa possibile dalla presenza di un’ampia porzione vetrata che, rovesciando la logica di una possibilità di visione verso l’esterno, fa convergere i coni prospettici nella direzione del versante stesso. Nel contempo, questo squarcio nella cortina muraria permette di illuminare naturalmente l’ambiente interno, trasformando lo spazio tra il manufatto e la roccia in un vero e proprio pozzo di luce.
Questa strategia progettuale e compositiva e attuata mediante una struttura metallica perimetrale che permette di smaterializzare il muro/confine in favore della vetrata, senza privare il perimetro della sua capacità portante. Le strutture di elevazione sono costituite da cavalletti metallici di diversa altezza a seguire l’andamento digradante del muro in calcestruzzo e della linea di copertura.
Le aste metalliche che li compongono sono giuntate di testa a un connettore a V collegato a sua volta, mediante tirafondi, a un cordolo perimetrale in calcestruzzo. Quest’ultimo presenta una sezione che si allarga sulla sommità, al fine di attestare non solo gli elementi strutturali, una anche i profili inferiori della vetrata continua. Sui lato interno, questo elemento basamentale contiene i cavedi impiantistici atti a ospitare le reti e le dotazioni necessarie al funzionamento della sala e dei servizi. Gli impianti sono prevalentemente alloggiati nello spessore del solaio a terra e nel controsoffitto, per ridurne l’ingombro e far sì che risultino il piu possibile integrati nelle superfici che definiscono lo spazio intemo. La grande vetrata, sostenuta da un sistema di profili metallici che riproduce il disegno della struttura primaria, e ripartita in fasce continue che esaltano l’orizzontalità del manufatto.
Al fine di contenere la sezione dei profili di sostegno, la facciata e irrigidita puntualmente da alcuni traversi metallici direttamente connessi ai cavalletti. Su questi ultimi poggiano anche le travi di bordo e l’orditura primaria- sempre in metallo- della copertura.
La scelta di un doppio sistema di travi, su cui si imposta un impalcato in lamiera grecata con getto di completamento, e legata alla geometria variabile della copertura stessa, determinata dall’andamento dei sottostanti setti murari, dalla conformazione del declivio e dalla necessità di ridurne Ia percezione dal fronte stradale, dove l’obiettivo principale resta far prevalere la figura del muro.
La copertura risulta invece prevalentemente visibile dal colle, rispetto al quale si configura, a tutti gli eletti, come un prospetto. In relazione a ciò, la scelta di ricorrere a una copertura a verde appare più che opportuna, soprattutto al fine di ricondurre l’immagine dall’alto a uno di quei terrazzamenti originariamente presenti nell’area.
Il tetto e dunque nuovamente il luogo dell’artificio in cui, da una parte, viene riprodotto l’elemento naturale e, dall’altra, si integrano componenti funzionali e strumenti figurativi. Se la parte superiore della copertura appare come un manto erboso paragonabile a quell i della parte sommitale del versante, quella inferiore, definita da superfici in cartongesso, diviene lo strumento per inserire i corpi illuminanti e alcune prese di luce zenitali.
L’illuminazione segue prevalentemente le linee di impluvio e displuvio dell’intradosso, oltre che essere disposta per tratti meno lunghi secondo linee ortogonali alle direttrici principali. La sala polivalente, delimitata ai lati dai setti rivestiti in pietra e dalla vetrata aperta verso Ia parete rocciosa, e un ambiente dalla pianta irregolare, che sfrutta l’andamento convergente dei due lati maggiori per fissare il fuoco visivo e funzionale sullo spazio destinate ai relatori, alle proiezioni o alle performance artistiche.
La natura tecnica di quest’opera si manifesta anche nella volontaria adozione di un limitate registro di materiali. Il ricorso al calcestruzzo e al rivestimento in pietra e una sintesi tra esigenze strutturali ed esiti formali: i setti definiscono la parte massiva della costruzione, quella più rigidamente ancorata al suolo, che ha il compito di trasmettere l’idea di quel confine fisico intorno al quale ruota l’idea progettuale.
Alle strutture metalliche e invece affidato il compito di assecondare la variabile geometria del manufatto e di conferire, nel contempo, levita a quella parte che, per effetto della trasparenza, entra in diretto rapporto con il colle. Sia i cavalletti che i profili di sostegno della vetrata sono in acciaio che, con la sua caratteristica colorazione, e chiamato a dichiarare la particolare natura del fronte interne.
Allo stesso modo sono trattati tutti quegli elementi che generano una discontinuità sulle superfici del manufatto, a partire dalle brecce verticali degli accessi. L’andamento spezzato del muro e esaltato da queste interruzioni, che celano le uniche vie di accesso a un luogo inatteso. Nel contempo, il contrasto del colore dell’acciaio con la pietra segnala i punti strategici di un nuovo percorso di attraversamento e sosta.
Il corten è utilizzato anche all’interno per definire ulteriormente lo spazio della sala e segnalarne gli elementi complementari: da una parte i servizi, dall’altra il soppalco. II volume che ospita i servizi si configura come un piccolo oggetto autonomo che genera una sorta di sfondamento ideale del muro. La sua pelle di acciaio, infatti, e percepibile sia dall’esterno che dall’interno, rendendo manifesta la sua differente natura rispetto alla sala principale. Il soppalco si configura invece come una quinta di chi usura che, creando un ingresso, permette di svelare progressivamente l’ampiezza della sala. La sua struttura è costituita da un setto metallico verticale su cui si imposta una scala a sbalzo, sempre in corten, che consente l’accesso al piano superiore, definite come una piastra metallica sospesa nello spazio della sala attraverso due coppie di tiranti collegati alla struttura di copertura.
Questi due oggetti sono l’unica concessione espressiva di un linguaggio minimale che concentra l’attenzione del visitatore verso la trasparenza della vetrata, indirizzandolo alla fruizione di un luogo tanto inaspettato quanto suggestive, il cui fine e sostanzialmente ridefinire il rapporto tra il colle e lo spazio pubblico, tra limite naturale e spazio costruito. Sebbene la volumetria abbia dimensioni contenute e il manufatto una vocazione tecnica, l’intervento agisce a una scala ben piu ampia. Comprende infatti anche Ia prospiciente piazza, a sua volta ridefinita nei percorsi e nell’arredo urbano.
L’inserimento di questo intervento nel contesto, il nuovo confine definite dall’andamento dei setti murari, la coerenza materica e formale ricordano alcune recenti opere di scuola portoghese, in cui alla sensibilità progettuale si unisce un’attenzione al dettaglio che non assume mai i contorni di una ricerca linguistica, urna di un prezioso lavoro di ricucitura attuato a partire dal più piccolo elemento della costruzione.